La penisola a forma di gomito
di Marina Greco (Blog Ancona. Interviste Guide Turistiche)
Annalisa Trasatti, guida turistica di Ancona, ci racconta la città, rivelandoci le sue meraviglie e i suoi segreti
Annalisa Trasatti
Perché ha scelto di diventare una Guida Turistica?
L’ho scelto perché mi sembrava una naturale prosecuzione ed un primo ingresso nel mondo del lavoro per una laureanda in Beni Culturali come me. E’ stato inoltre l’occasione per studiare e vivere il territorio della mia provincia tagliato fuori dagli studi universitari.
Cosa le piace di più del suo lavoro?
Vari aspetti: dal primo contatto, all’organizzazione del servizio guida, all’itinerario da proporre. Durante i servizi amo molto far scoprire e non solo letterariamente ma letteralmente la mia città ed il suo territorio.
Il fattore “provincia” e non grande città d’arte infatti ti permette di giocare con l’effetto sorpresa di luoghi spesso mai visti, se non di passaggio.
Ancona - panorama
Come caratterizza il suo servizio di guida?
Per quanto si riesca ad avere informazioni sulla tipologia del gruppo in anticipo tramite l’agenzia o l’organizzatore, in realtà sono sicura del fatto che ti giochi la “simpatia” con i tuoi clienti nei primi minuti dell’incontro.
Sono poi l’esperienza e la predisposizione caratteriale a fare il resto!
Ovviamente poi c’è una cura del linguaggio a seconda se si tratta di adulti, esperti, bambini, disabili (soprattutto quelli visivi a cui è una bellissima “sfida” raccontare un luogo), stranieri, etc.
Ci racconti di Ancona.
Il mio amore per la mia città natale e dove ho scelto di vivere e lavorare mi porterebbe via pagine e pagine. In sintesi amo raccontarla proprio per com’è e come emerge dal mare: una penisola a forma di gomito sempre pronta ad accoglierci. Direi che è una città per tutte le stagioni, la presenza del mare che la circonda e della spiaggia cittadina del Passetto la rende anche una meta balneare.
Ancona - porto
Quale itinerario suggerisce per chi ha solo poche ore a disposizione?
L’itinerario è quello cronologico che parte dalla Cattedrale di San Ciriaco (ex tempio dorico dedicato a Venere Euplea, tra i migliori esempi di romanico italiano), posto in cima al colle Guasco che si affaccia sul porto e domina tutto l’abitato, per poi proseguire nel tempo e nello spazio fino all’Ancona novecentesca del Viale della Vittoria (che con la sua cornice alberata a platani taglia da ovest a est la città) e ancora una volta al mare del Passetto.
Cosa incuriosisce di più i turisti?
Molti si aspettano che Ancona assomigli ad altre città del litorale adriatico come Rimini o Pescara e invece il suo distendersi sui tre colli per infine trasformarsi a sud nel promontorio del Conero, unico massiccio del medio Adriatico (oggi parte del Parco regionale del Conero, notevole esempio di macchia mediterranea), lascia di stucco anche i più scettici.
Quali tipologie di turisti visitano la città?
Soprattutto comitive di adulti e anziani, scuole che uniscono la visita alla Regione Marche o al porto con quelle della città, croceristi italiani e stranieri che da circa tre anni fanno tappa prima o dopo Venezia, stranieri che dopo aver visitato le grandi città d’arte italiane tornano nel nostro paese alla scoperta dei centri minori.
Ci racconti un aneddoto, un episodio curioso, capitato durante un giro ad Ancona.
Il primo che mi viene in mente è riferito ad una comitiva di turisti giapponesi che si sono trovati ad usufruire di una toilette pubblica in centro, i cosiddetti vespasiani. E’ stato davvero esilarante far loro capire che si trattava di una tipologia di bagno e anche di “nobili” origini!
Riferimenti:
Annalisa Trasatti - Guida turistica di Ancona
Sito Web: www.anconaguide.com
lunedì 30 novembre 2009
Trasportare la bici in treno nelle Marche è gratis. Valido fino al 31 dicembre 2010
Trasportare la bici in treno nelle Marche è gratis. E' stato siglato un accordo tra Pietro Marcolini, assessore ai Trasporti della Regione Marche e la Direzione Regionale Marche di Trenitalia, che sarà valido fino al 31 dicembre 2010. Trasportare la bicicletta al seguito del viaggiatore sui treni regionali attrezzati di Trenitalia sarà quindi un servizio senza alcun costo. L’intesa, oltre promuovere la mobilità sostenibile e combattere le emissioni atmosferiche responsabili dell’effetto serra, si propone anche di fidelizzare nuova clientela. L’iniziativa è finalizzata allo sviluppo dell’intermodalità bici/treno e prevede in stazione la creazione di percorsi guidati, appositi scivoli o canaline lungo le scale e idonei spazi per la sosta dei viaggiatori muniti di bici.
sabato 28 novembre 2009
Loreto, città dei presepi
A Loreto è già Natale. Da sabato 21 novembre infatti il centro mariano si è trasformato nella città dei Presepi con grandi mostre dedicate ai simboli della natività, opere di pregio e di rara bellezza.
Via Sisto V e Piazza Giovanni XXIII ospiteranno anche per questo fine settimana, 28 e 29 novembre dalle 9 alle 23, " la fiera dei pupi", un mercatino di artigianato artistico, che nello scorso week – end ha riscosso un vero e proprio successo, dove sarà possibile trovare anche le caratteristiche statuette del presepe opera di artigiani provenienti da tutte le province delle Marche e dalle principali regioni italiane espressione di lunghe tradizioni nell’arte del presepe come Sicilia, Puglia, Campania, Trentino.
Ma oltre alle 20 casette in legno che ospitano il mercatino, e i due grandi presepi permanenti allestiti in Via Sisto V e a Porta Romana, sarà possibile visitare anche delle bellissime mostre come: "La natività nell’arte marchigiana" e "Presepi d’Italia" entrambe presso il Bastione San Gallo e i "Presepi artistici nella storia" presso il Museo - Antico Tesoro del Palazzo Apostolico, la Basilica, i Camminamenti di Ronda e in Piazza della Madonna.
Si ricorda che la manifestazione è patrocinata dalla Regione Marche, Comune di Loreto, Confartigianato della Provincia di Ancona e delegazione Pontificia Santuario della Santa Casa di Loreto.
Con questa iniziativa l’amministrazione comunale di Loreto intende dunque offrire una serie di spunti di riflessione sulla natività, ma anche sull’artigianato artistico e sugli aspetti dell’economia locale e turistica.
giovedì 26 novembre 2009
La sesta edizione di “Eco&Equo”, la Fiera sull’attenzione sociale, ambientale e sull’economia solidale, che si svolgerà dal 27 al 29 novembre ad Ancona a ingresso gratuito, s’ispira alle parole del Mahatma Gandhi per presentare una proposta culturale ed economica basata sulla sostenibilità, sul rispetto dei diritti umani ed eticamente orientata. “Per dare sempre più importanza ai valori e ai contenuti che hanno sempre contraddistinto Eco&Equo – spiega Marco Amagliani, assessore regionale ai Servizi sociali, Immigrazione, Cooperazione allo sviluppo e Ambiente -, quest’anno l’intero evento è coorganizzato dall’assessorato e da Rees Marche, la Rete dell’economia solidale delle Marche che, in questi anni, ha costruito, con passione e tenacia, una rete per creare, dal basso, un’economia basata sulla solidarietà, sull’ecologia, sugli accordi diretti fra produttori, consumatori, finanziatori, lavoratori, un’economia legata ai territori”. Un legame che sarà approfondito anche con i laboratori per gli adulti e per i bambini, che si svolgeranno ad Eco&Equo, un modo per creare un approccio partecipativo all’evento, che prevede un ricco programma di convegni, spettacoli, mostre di fotografia, e per rendere protagonisti i consumatori e gli espositori che potranno condividere così i valori che ispirano questa fiera. E la partecipazione sarà resa possibile a tutti, anche a chi non potrà venire ad Ancona, perché tutti gli appuntamenti saranno trasmessi in diretta sulla rete Internet. A E&E parteciperanno anche le scuole, prima e durante la fiera, grazie al progetto “Educ@2009-Preparati al meglio”, un percorso didattico orientato ai temi dell’economia solidale e alla sostenibilità, rivolto agli studenti delle medie inferiori e superiori con lo scopo di avvicinarli ai valori di equità, giustizia sociale ed economica. Fra gli eventi della fiera, che nel 2008 è stata visitata da 18mila persone, ci saranno, il 27 novembre, il confronto “Studi e riflessioni sulla sostenibilità ambientale nelle Marche” per presentare tre pubblicazioni inedite del Servizio regionale Ambiente e Paesaggio, “Atlante sul consumo di suolo delle Marche 1954-2007”, “Rapporto stato ambiente 2009”, “Geografia delle pressioni ambientali 2009”. Il 29 novembre ci sarà la terza Conferenza regionale sull’Immigrazione. In anteprima assoluta, il 27 novembre, andrà in scena lo spettacolo “Identità di carta”, un documento teatrale sul razzismo della Compagnia Itineraria di Milano
mercoledì 25 novembre 2009
lunedì 23 novembre 2009
venerdì 20 novembre 2009
Grotte di Camerano
Camerano è una cittadina in provincia di Ancona immersa nella natura del Parco del Conero e famosa soprattutto per le sue celebri grotte.
Le grotte di Camerano sono delle cavità scavate nel sottosuolo e che danno vita ad un’altra città posta al di sotto di quella principale. La funzione originaria di queste grotte è ancora tutt’oggi ignota, all’inizio si pensava che si trattasse di resti di cave arenarie ma quello che ha fatto cambiare idea sono soprattutte le meravigliose decorazioni e gli elementi architettonici con cui sono abbellite queste grotte.
Oggi, tuttavia, l’ipotesi più accreditata è che queste grotte siano state costruite a scopo abitativo e che poi siano servite alla popolazione per difendersi contro i bombardamenti visto che furono adibite a rifugio nel 1944.
Le grotte di Camerano sono delle cavità scavate nel sottosuolo e che danno vita ad un’altra città posta al di sotto di quella principale. La funzione originaria di queste grotte è ancora tutt’oggi ignota, all’inizio si pensava che si trattasse di resti di cave arenarie ma quello che ha fatto cambiare idea sono soprattutte le meravigliose decorazioni e gli elementi architettonici con cui sono abbellite queste grotte.
Oggi, tuttavia, l’ipotesi più accreditata è che queste grotte siano state costruite a scopo abitativo e che poi siano servite alla popolazione per difendersi contro i bombardamenti visto che furono adibite a rifugio nel 1944.
Gli accessi a queste grotte sono situati presso i principali palazzi della città che danno anche il nome alle rispettive grotte, ovvero ai rispettivi cunicoli da cui è possibile accedere a questa sorta di labirinto che si trova al di sotto della città.
Questi palazzi, in particolare, sono: Palazzo Manciforte, da cui parte la cosiddetta grotta Manciforte, una cavità che costiuisce uno degli assi principali dell’intero complesso sotterraneo; Palazzo Ricotti da cui parte la cosiddetta Grotta Ricotti il cui aspetto è inequivocabilmente quello di una chiesa; Palazzo Trionfi da cui ha inizio un complesso di grotte molto curate dal punto di vista architettonico e delle decorazioni e, infine, Palazzo Corraducci al di sotto del quale si trova il complesso di grotte più vasto dell’intera struttura sotterranea.
Questi palazzi, in particolare, sono: Palazzo Manciforte, da cui parte la cosiddetta grotta Manciforte, una cavità che costiuisce uno degli assi principali dell’intero complesso sotterraneo; Palazzo Ricotti da cui parte la cosiddetta Grotta Ricotti il cui aspetto è inequivocabilmente quello di una chiesa; Palazzo Trionfi da cui ha inizio un complesso di grotte molto curate dal punto di vista architettonico e delle decorazioni e, infine, Palazzo Corraducci al di sotto del quale si trova il complesso di grotte più vasto dell’intera struttura sotterranea.
domenica 15 novembre 2009
Candele a Candelara l’unico mercatino in Italia dove le candele “spengono” la luce elettrica
Candele a Candelara, il primo mercatino natalizio italiano dedicato alle candele cresce e allunga i giorni di svolgimento. Da tre a quattro per consentire alle migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia di ammirare la suggestiva e colorata festa dedicata sin dalla prima edizione alla candela non semplicemente come elemento ornamentale ma soprattutto come oggetto di festa e di celebrazione. Si svolgerà infatti dal 5 all’8 dicembre la VI edizione di Candele a Candelara, mercatino natalizio nell’antico borgo medievale sulle colline attorno a Pesaro dove ogni sera la luce artificiale viene spenta per lasciare posto a migliaia di fiammelle accese. Un’atmosfera unica e suggestiva grazie a tre spegnimenti programmati dell’illuminazione elettrica di 15 minuti ciascuno. Per un’ora a sera Candelara (che deve il suo nome alle candele), sarà completamente rischiarata dalla luce calda e rassicurante delle candele. In questa edizione la festa riserverà ai visitatori diverse novità. A cominciare dalla Via dei Presepi, dove si potranno ammirare natività realizzate da artigiani di ogni parte d’Italia con i più diversi materiali (cera, legno, pietra, terracotta, ceramica, argento, sughero). Altra grande novità, il Presepe di ghiaccio che sarà realizzato in diretta da artisti esperti in sculture di ghiaccio. Ma nel mercatino di Candele a Candelara troveranno posto anche le sculture in ferro battuto che rappresentano i personaggi della natività. Si tratta di silhouettes ornate da centinaia di candeline che disegneranno i protagonisti del Presepe nella via del Borgo. Anche quest’anno funzionerà la gettonatissima Officina di Babbo Natale dove centinaia di bambini potranno lavorare con diversi materiali (creta, cera, carta, legno ), e realizzare addobbi e figure legate al Natale. Una autentica renna stazionerà vicino all’Officina. Ma Candele a Candelara ospiterà qualificate animazioni provenienti da tutta Italia legate alla figura di Babbo Natale, come ad esempio i Babbo Natale trampolieri, il Babbo Natale che suona l’organino ottocentesco, una intera banda musicale formata da 35 Babbo Natale; oppure i tradizionali Babbo Natale con zampogne e cornamuse. Completeranno il programma artisti di strada (acrobati, giocolieri, cantastorie). Candelara quest’anno realizzerà un ponte con la città di Pesaro dove sono previste diverse iniziative legate alla manifestazione che offriranno ulteriori opportunità di svago e intrattenimento. La centralissima Piazza del Popolo diventerà infatti la Piazza dei sapori con esposizione, degustazione e vendita le eccellenze gastronomiche di alcune regioni italiane. Al Teatro Rossini invece saranno organizzati concerti di musica classica. Inoltre mostre e cene a lume di candela nei ristoranti del centro storico. Nel Settecentesco Palazzo Gradari una cena esclusiva a lume di candela a limitato numero di ospiti. Per migliorare l’accoglienza e rendere più fruibile la visita di migliaia di persone a Candelara, l’organizzazione ha predisposto un percorso più fluido e scorrevole lungo la centralissima via del Borgo dove si trovano le cinquanta casette in legno che ospitano oggetti d’artigianato, articoli da regalo e candele d’ogni forma e foggia. Grazie al main sponsor della manifestazione, Cereria Terenzi Evelino di San Giovanni in Marignano, non mancherà l’aromaterapia con tante candele profumate le cui essenze ed oli essenziali sono utilizzati come afrodisiaco o come antidepressivo energizzante.Anche quest’anno funzionerà un’ enorme tensostruttura riscaldata che proporrà i piatti della tradizione: polenta con i funghi, baccalà con le patate, pasticciata ed erbe cotte, carne alla brace, piadina, olive fritte, frittelle di mele, caldarroste e vino novello a volontà.Per i visitatori sarà possibile effettuare visite guidate alla Pieve del XII secolo e nella cinquecentesca Villa Almerici Berloni. Possibilità di escursioni culturali a Urbino, San Leo, Gradara.
Camperisti
In relazione al gran numero di camperisti che anche quest’anno raggiungeranno Candelara, gli organizzatori hanno predisposto appositi parcheggi di sosta per i camperisti. Delle navette riservate collegheranno ogni 15 minuti i parcheggi e la città di Pesaro con il centro del paese.Candelara di Pesaro, 31.08.2009
Perché Candele a Candelara ?
Alcuni cenni storici
Secondo lo storico Luigi Michelini Tocci il toponimo di Candelara - dal latino Candelaria - è da ricercarsi ad una fonte di luce, ad un fuoco, ad un faro. Mentre gli studiosi locali, raccogliendo comunicazioni orali tramandatesi nei secoli, indicano la leggenda secondo cui un signore di Pesaro, volendo costruire un castello in questa zona, fece accendere tre candele in tre posti diversi del borgo. Nel luogo in cui non si fosse spenta, egli avrebbe poi costruito il suo castello. La candela che non si spense fu quella posta ad ovest della Pieve. Questo luogo infatti è il più riparato dai venti. Qui sorse il castello, ed attorno la borgata. Il nome di Candelara, dunque deriva dalle sunnominate candele che sono diventate dagli inizi di due secoli fa lo stemma del paese.
Camperisti
In relazione al gran numero di camperisti che anche quest’anno raggiungeranno Candelara, gli organizzatori hanno predisposto appositi parcheggi di sosta per i camperisti. Delle navette riservate collegheranno ogni 15 minuti i parcheggi e la città di Pesaro con il centro del paese.Candelara di Pesaro, 31.08.2009
Perché Candele a Candelara ?
Alcuni cenni storici
Secondo lo storico Luigi Michelini Tocci il toponimo di Candelara - dal latino Candelaria - è da ricercarsi ad una fonte di luce, ad un fuoco, ad un faro. Mentre gli studiosi locali, raccogliendo comunicazioni orali tramandatesi nei secoli, indicano la leggenda secondo cui un signore di Pesaro, volendo costruire un castello in questa zona, fece accendere tre candele in tre posti diversi del borgo. Nel luogo in cui non si fosse spenta, egli avrebbe poi costruito il suo castello. La candela che non si spense fu quella posta ad ovest della Pieve. Questo luogo infatti è il più riparato dai venti. Qui sorse il castello, ed attorno la borgata. Il nome di Candelara, dunque deriva dalle sunnominate candele che sono diventate dagli inizi di due secoli fa lo stemma del paese.
Candele a Candelara l’unico mercatino in Italia dove le candele “spengono” la luce elettrica
Candele a Candelara, il primo mercatino natalizio italiano dedicato alle candele cresce e allunga i giorni di svolgimento. Da tre a quattro per consentire alle migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia di ammirare la suggestiva e colorata festa dedicata sin dalla prima edizione alla candela non semplicemente come elemento ornamentale ma soprattutto come oggetto di festa e di celebrazione. Si svolgerà infatti dal 5 all’8 dicembre la VI edizione di Candele a Candelara, mercatino natalizio nell’antico borgo medievale sulle colline attorno a Pesaro dove ogni sera la luce artificiale viene spenta per lasciare posto a migliaia di fiammelle accese. Un’atmosfera unica e suggestiva grazie a tre spegnimenti programmati dell’illuminazione elettrica di 15 minuti ciascuno. Per un’ora a sera Candelara (che deve il suo nome alle candele), sarà completamente rischiarata dalla luce calda e rassicurante delle candele. In questa edizione la festa riserverà ai visitatori diverse novità. A cominciare dalla Via dei Presepi, dove si potranno ammirare natività realizzate da artigiani di ogni parte d’Italia con i più diversi materiali (cera, legno, pietra, terracotta, ceramica, argento, sughero). Altra grande novità, il Presepe di ghiaccio che sarà realizzato in diretta da artisti esperti in sculture di ghiaccio. Ma nel mercatino di Candele a Candelara troveranno posto anche le sculture in ferro battuto che rappresentano i personaggi della natività. Si tratta di silhouettes ornate da centinaia di candeline che disegneranno i protagonisti del Presepe nella via del Borgo. Anche quest’anno funzionerà la gettonatissima Officina di Babbo Natale dove centinaia di bambini potranno lavorare con diversi materiali (creta, cera, carta, legno ), e realizzare addobbi e figure legate al Natale. Una autentica renna stazionerà vicino all’Officina. Ma Candele a Candelara ospiterà qualificate animazioni provenienti da tutta Italia legate alla figura di Babbo Natale, come ad esempio i Babbo Natale trampolieri, il Babbo Natale che suona l’organino ottocentesco, una intera banda musicale formata da 35 Babbo Natale; oppure i tradizionali Babbo Natale con zampogne e cornamuse. Completeranno il programma artisti di strada (acrobati, giocolieri, cantastorie). Candelara quest’anno realizzerà un ponte con la città di Pesaro dove sono previste diverse iniziative legate alla manifestazione che offriranno ulteriori opportunità di svago e intrattenimento. La centralissima Piazza del Popolo diventerà infatti la Piazza dei sapori con esposizione, degustazione e vendita le eccellenze gastronomiche di alcune regioni italiane. Al Teatro Rossini invece saranno organizzati concerti di musica classica. Inoltre mostre e cene a lume di candela nei ristoranti del centro storico. Nel Settecentesco Palazzo Gradari una cena esclusiva a lume di candela a limitato numero di ospiti. Per migliorare l’accoglienza e rendere più fruibile la visita di migliaia di persone a Candelara, l’organizzazione ha predisposto un percorso più fluido e scorrevole lungo la centralissima via del Borgo dove si trovano le cinquanta casette in legno che ospitano oggetti d’artigianato, articoli da regalo e candele d’ogni forma e foggia. Grazie al main sponsor della manifestazione, Cereria Terenzi Evelino di San Giovanni in Marignano, non mancherà l’aromaterapia con tante candele profumate le cui essenze ed oli essenziali sono utilizzati come afrodisiaco o come antidepressivo energizzante.Anche quest’anno funzionerà un’ enorme tensostruttura riscaldata che proporrà i piatti della tradizione: polenta con i funghi, baccalà con le patate, pasticciata ed erbe cotte, carne alla brace, piadina, olive fritte, frittelle di mele, caldarroste e vino novello a volontà.Per i visitatori sarà possibile effettuare visite guidate alla Pieve del XII secolo e nella cinquecentesca Villa Almerici Berloni. Possibilità di escursioni culturali a Urbino, San Leo, Gradara.
Camperisti
In relazione al gran numero di camperisti che anche quest’anno raggiungeranno Candelara, gli organizzatori hanno predisposto appositi parcheggi di sosta per i camperisti. Delle navette riservate collegheranno ogni 15 minuti i parcheggi e la città di Pesaro con il centro del paese.Candelara di Pesaro, 31.08.2009
Perché Candele a Candelara ?
Alcuni cenni storici
Secondo lo storico Luigi Michelini Tocci il toponimo di Candelara - dal latino Candelaria - è da ricercarsi ad una fonte di luce, ad un fuoco, ad un faro. Mentre gli studiosi locali, raccogliendo comunicazioni orali tramandatesi nei secoli, indicano la leggenda secondo cui un signore di Pesaro, volendo costruire un castello in questa zona, fece accendere tre candele in tre posti diversi del borgo. Nel luogo in cui non si fosse spenta, egli avrebbe poi costruito il suo castello. La candela che non si spense fu quella posta ad ovest della Pieve. Questo luogo infatti è il più riparato dai venti. Qui sorse il castello, ed attorno la borgata. Il nome di Candelara, dunque deriva dalle sunnominate candele che sono diventate dagli inizi di due secoli fa lo stemma del paese.
Secondo lo storico Luigi Michelini Tocci il toponimo di Candelara - dal latino Candelaria - è da ricercarsi ad una fonte di luce, ad un fuoco, ad un faro. Mentre gli studiosi locali, raccogliendo comunicazioni orali tramandatesi nei secoli, indicano la leggenda secondo cui un signore di Pesaro, volendo costruire un castello in questa zona, fece accendere tre candele in tre posti diversi del borgo. Nel luogo in cui non si fosse spenta, egli avrebbe poi costruito il suo castello. La candela che non si spense fu quella posta ad ovest della Pieve. Questo luogo infatti è il più riparato dai venti. Qui sorse il castello, ed attorno la borgata. Il nome di Candelara, dunque deriva dalle sunnominate candele che sono diventate dagli inizi di due secoli fa lo stemma del paese.
venerdì 13 novembre 2009
Conoscere le MARCHE - Festa della cicerchia - Serra de' Conti, Ancona dal 27 al 29 novembre 2009
A Serra de' Conti, nel cuore della terra del Verdicchio, il 27, 28, 29 novembre 2009 si terrà la decima edizione della “Festa della Cicerchia”, manifestazione che si è guadagnata un posto d’onore fra le numerose feste e sagre dei dintorni, espandendo la propria fama anche oltre i confini marchigiani. La protagonista della festa è la cicerchia, un legume povero che per secoli ha fatto parte della nostra cultura alimentare. Leguminosa originaria del Medio Oriente, già diffusa al tempo dei Greci, fu conosciuta ed apprezzata dai Romani (in latino “cicerula”). La coltura della cicerchia è continuata attraverso i secoli nelle aree collinari dell’Italia centromeridionale fino a qualche decennio fa, allorché cadde in disuso. La “Festa della Cicerchia” si propone come occasione di riscoperta dei sapori della memoria, legati a tradizioni ed usanze della nostra terra, come viaggio a ritroso nel tempo ricco di piatti e prodotti tipici che rappresentano veri e propri tesori di patrimonio collettivo da salvare dall’estinzione. Coltivata con tecniche a basso impatto ambientale, la cicerchia è oggi nuovamente posta all’attenzione dei gastronomi, ristoratori ed amici della buona tavola, desiderosi di riscoprirne il semplice ma ricco sapore che ben si presta ad innumerevoli ricette. La festa si svolge nel centro storico di Serra de’ Conti, all’interno delle mura medievali, e si snoda lungo tutte le vie, i vicoli e le piazze del paese, illuminate per l’occasione da ceri e foconi. Su queste vie aprono le porte ben venti suggestive cantine ove è possibile gustare la cicerchia in varie ricette: in pagnotta, in laboriose zuppe con passato di legumi e carne, in squisite creme. Accanto alla “regina” cicerchia, troviamo altri prelibati piatti: i maltagliati, il lardo aromatico,la polenta, la pancetta in salmì, i vincisgrassi, lo stoccafisso, le tagliatelle tutta staccia alla contadina, le cresce, il coniglio in porchetta, la panzanella, il guanciale, la brustenga, nonché vari dolci preparati con farina di cicerchia, il tutto innaffiato con l’ottimo vino delle generose colline marchigiane. La cura e l’attenzione che contraddistinguono da sempre la scelta dei piatti e delle ricette proposte rendono la Festa della Cicerchia una manifestazione imperdibile per gli amanti della buona tavola. E dopo aver soddisfatto a volontà il palato, vale la pena fare una passeggiata per le vie del paese alla scoperta delle varie mostre fotografiche e pittoriche; delle lavorazioni di artigianato artistico (vimini, maioliche decorate, terrecotte, lavori in legno e ferro, merletti) e del suggestivo Museo delle Arti Monastiche. Tutte e tre le serate saranno allietate dalla presenza di trampolieri, cantastorie, artisti di strada, arcieri e gruppi folkloristici che sfileranno in costume e si produrranno nell’esecuzione di canti e balli tipici. Per avere informazioni dettagliate sulle iniziative presenti nei tre giorni della festa e sui menù proposti dalla numerose cantine è possibile visitare il sito ufficiale della manifestazione.
Ode alla cicerchia
In principio c'era mia nonna.
A primavera seminava i fagioli, ceci, cicerchia,generalmente tra il granoturco, per sfruttare ipiccoli spazi esistenti tra un solco e l'altro.
In agosto, raccolte le cime del granoturco perl'alimentazione bovina, le pannocchie maturavano al sole estivo e i legumi sottostantivenivano accuratamente raccolti.
Andavo con lei, strappavo dal suolo gli arbustiinteri carichi di baccelli ormai maturi, si facevano dei fasci, si caricavano sulle spalle e si portavano nell'aia.
Raccolti in piccoli mannelli, venivano appesi su una parete assolata fino a che, da lì a qualche giorno, fossero pronti per la battitura.
Avere fagioli, ceci e cicerchia era gia una garanzia per l'inverno chepresto sarebbe arrivato e ogni donna sapeva governare con misura lerisorse della casa.
Dopo la battitura con ampio crivello, la cicerchia veniva ripulita e le ultime pule del baccello spezzato se ne andavano al soffio della brezza pomeridiana, quando la cicerchia veniva ventilata a mano,all'ombra di un grande olmo.
Allorchè mia nonna ci lasciò, negli anni Sessanta, anche la cicerchia uscì dalla nostra vita.
Era un legume povero, la buccia era troppo dura, il sapore meno delicato dei ceci, l'uso meno versatile rispettoai fagioli.
Trent'anni dopo sono venuto a sapere che in un angolo dellenostre colline, a Serra de' Conti, qualcuno coltivava ancora la cicerchia, quella minuta e saporita che avevo conosciuto da bambinoe non quella grande insipida che le multinazionali fanno coltivare nelCentro America, per lo più per l'alimentazione animale.
Mi sono lasciato prendere da un segreto entusiasmo; riscoprire la cicerchia era come rinverdire una sana radice.
"Non è giusto - mi sondetto - che i miei antenati abbiano assaporato per secoli il saporedella cicerchia e proprio io interrompa questa catena".
Così abbiamo deciso di riprenderla con cura, l'abbiamo rivestita a festa, servendola fumante, d'inverno, dentro una calda pagnottacon un filo d'olio extra vergine di oliva e i profumi dell'orto.
Sacro è il pane sulla tavola, fragranti sono gli aromi, dolce è la nostracicerchia della Marca di Ancona.
Ode alla cicerchia
In principio c'era mia nonna.
A primavera seminava i fagioli, ceci, cicerchia,generalmente tra il granoturco, per sfruttare ipiccoli spazi esistenti tra un solco e l'altro.
In agosto, raccolte le cime del granoturco perl'alimentazione bovina, le pannocchie maturavano al sole estivo e i legumi sottostantivenivano accuratamente raccolti.
Andavo con lei, strappavo dal suolo gli arbustiinteri carichi di baccelli ormai maturi, si facevano dei fasci, si caricavano sulle spalle e si portavano nell'aia.
Raccolti in piccoli mannelli, venivano appesi su una parete assolata fino a che, da lì a qualche giorno, fossero pronti per la battitura.
Avere fagioli, ceci e cicerchia era gia una garanzia per l'inverno chepresto sarebbe arrivato e ogni donna sapeva governare con misura lerisorse della casa.
Dopo la battitura con ampio crivello, la cicerchia veniva ripulita e le ultime pule del baccello spezzato se ne andavano al soffio della brezza pomeridiana, quando la cicerchia veniva ventilata a mano,all'ombra di un grande olmo.
Allorchè mia nonna ci lasciò, negli anni Sessanta, anche la cicerchia uscì dalla nostra vita.
Era un legume povero, la buccia era troppo dura, il sapore meno delicato dei ceci, l'uso meno versatile rispettoai fagioli.
Trent'anni dopo sono venuto a sapere che in un angolo dellenostre colline, a Serra de' Conti, qualcuno coltivava ancora la cicerchia, quella minuta e saporita che avevo conosciuto da bambinoe non quella grande insipida che le multinazionali fanno coltivare nelCentro America, per lo più per l'alimentazione animale.
Mi sono lasciato prendere da un segreto entusiasmo; riscoprire la cicerchia era come rinverdire una sana radice.
"Non è giusto - mi sondetto - che i miei antenati abbiano assaporato per secoli il saporedella cicerchia e proprio io interrompa questa catena".
Così abbiamo deciso di riprenderla con cura, l'abbiamo rivestita a festa, servendola fumante, d'inverno, dentro una calda pagnottacon un filo d'olio extra vergine di oliva e i profumi dell'orto.
Sacro è il pane sulla tavola, fragranti sono gli aromi, dolce è la nostracicerchia della Marca di Ancona.
Conoscere le Marche - Corinaldo
Arsa e distrutta dall’empio Alarico, la bella e famosa città di Suasa, l’anno della nostra salute 409, come fu scritto, quelli che dagli incendi avanzarono per salvarsi, fuggirono verso il vento Cecias dentro i vicini colli, … l’anno del parto della Vergine 411 diedero principio a fabbricare una città formata con regole e disegno di architettura … la chiamarono Corinaldo, quasi ‘curre in altum’". Così scriveva a proposito delle origini di Corinaldo nei prima anni del secolo XVII Vincenzo Maria Cimarelli, frate domenicano, insigne storico, maestro di umane lettre, inquisitore del Santo Uffizio.Storia e leggenda si alternano e si fondono nella “cronaca” del Cimarelli, desideroso di nobilitare la nascita della sua città dalle rovine della romana Suasa Senonum.Con tutta probabilità la città di Corinaldo è sorta agli inizi del secondo millennio, in seguito al diffuso fenomeno dell’incastellamento.Arroccata tra i fiumi Cesano e Misa, tra Marca di Ancona e Stato di Urbino, diviene ambito avamposto conteso, per la sua posizione strategica, dalle fazioni guelfe e ghibelline in lotta per il potere durante la crisi del sistema feudale e l’avvento delle signorie. Guelfa fino ai primi del ‘300, Corinaldo subisce il fascino e poi la tirannia di un suo nobile concittadino di parte ghibellina, Nicolò Boscareto, vicario imperiale per nomina di Ludovico il Bavaro, e a causa del quale è distrutta dall’esercito pontificio di Innocenzo VI, agli ordini di Galeotto Malatesta, il 18 agosto 1360.Corinaldo viene ricostruita letteralmente ex novo nel 1367, con l’attuale cinta muraria, nella quale figurano elementi fortificativi attribuiti al genio del celeberrimo architetto militare senese Francesco Di Giorgio Martini.Nuove mura, nuovi assedi.Ai Malatesta succedono gli Sforza, e agli Sforza i Della Rovere, con lo spodestato duca di Urbino, Francesco Maria, che tenta nel 1517 di riconquistare Corinaldo e le terre limitrofe sotto il suo diretto dominio.Ma in quell’epoca è scritta una delle pagine storiche più belle ed esaltanti della comunità corinaldese.Dopo ventitre giorni di assedio i corinaldesi costringono il duca alla ritirata e il papa dell’epoca, Leone X, per la fedeltà mostrata, eleva Corinaldo al rango di città.Dignità confermata con breve del 20 giugno 1786 da papa Pio VI.Ma è nel ‘600 che Corinaldo si ingentilisce nelle forme architettoniche e nel costume, arricchendosi dell’opera e dell’ingegno di pregevoli artisti.
Le famiglie nobili erigono nuove ed eleganti dimore, segno di un accresciuto e diffuso benessere.Si sviluppano le arti e i mestieri, si stringono nuovi rapporti economici, politici e culturali.Ma non sono solamente i palazzi gentilizi a contrassegnare l’ordito architettonico della città, e in particolare del centro storico: vedono progressivamente la luce anche monumentali edifici civili e religiosi, ancora oggi visibili e perfettamente conservati, quali fra gli altri la chiesa del Suffragio dalla caratteristica pianta ottagonale, eretta sul vecchio mastio, la chiesa dell’Addolorata, quella di Sant’Anna (patrona di Corinaldo) e il santuario ora intestato alla Goretti.Palazzi e chiese, splendidi esempi di architettura civile e religiosa, costituiscono invitanti e preziosi contenitori di apprezzabili opere d’arte.Il Seicento e il Settecento, in particolare, sono secoli di intenso sviluppo artistico della città, grazie alla presenza e all’opera di ingegni quali fra gli altri il pittore Claudio Ridolfi che a Corinaldo visse lungamente e vi morì, l’organista Gaetano Callido che sempre a Corinaldo ha lasciato due strumenti di eccezionale fattezza, uno dei quali funzionante e il secondo in restauro, dono del Callido alla figlia monaca di clausura proprio a Corinaldo, in quegli stessi ambienti che oggi accolgono la civica pinacoteca.Corinaldo rappresenta una terra vergine tutta da conquistare e il bel centro storico, ninfa intrigante indolentemente adagiata sul principale dei sei colli sui quali si estende il territorio comunale, vive in quei secoli il suo periodo di massimo splendore.Con il trascorrere dei decenni, poi, si irrobustisce l’aspetto di centro economico di prim’ordine, grazie ai numerosi insediamenti produttivi che sviluppano un connettivo vitalissimo nei settori dell’artigianato artistico del mobile, del calzaturiero, della cartotecnica.Notevole e progressivo è anche l’incremento demografico
dovuto essenzialmente alla favorevole evoluzione delle attività produttive, ma anche alla spiccata vocazione all’accoglienza turistica che Corinaldo ha sviluppato soprattutto in quest’ultimo decennio.Le vestigia dell’eroico passato sono oggi rintracciabili: nel perimetro murario di circa un chilometro con le sue porte bastionate a nord e a sud, con lo “sperone” di Francesco di Giorgio Martini, con le torri e torrette che diciannove volte contrappuntano l’ordito difensivo quattrocentesco; nelle chiese e nei santuari (da non trascurare è anche quello dell’Incancellata del secolo XVI) di cui s’è già detto; nel palazzo municipale e nel complesso degli Agostiniani, nel teatro storico e nei numerosi palazzi gentilizi delle famiglie Cesarini, Orlandi, Marangoni, Amati, Ciani, Mazzoleni; nei personaggi ai quali si è fatto prima riferimento; alle storie e manifestazioni che riconsegnano Corinaldo ad un’aurea tipicamente medievale, intrigante, avvolgente, che si respira e rivive ogni anno, da venticinque anni a questa parte, con la tradizionale rievocazione storica in costume denominata “Contesa del pozzo della polenta”.Certo la storiellina, tutta ottocentesca, riguarda la vicenda di un contadino che, risalendo l’erta che conduceva anticamente dal borgo al centro storico, lascia cadere un sacco di farina di mais nel pozzo al quale tenta di bere per combattere l’arsura estiva.Dal pozzo cominciò a uscire, prodigiosamente, tanta polenta che sfamò i corinaldesi assediati.Si fa riferimento allo storico assedio del 1517, ma al di là dell’anacronismo storico relativo alla presenza e uso della farina di mais in quel tempo lontano, appare invece profondamente legato ai “sogni” degli assediati l’idea, o meglio la speranza di vedere spuntare da un pozzo qualsiasi, magari dalla canna di un negromante, un cibo inesauribile che rimpinguasse le derrate alimentari oramai agli sgoccioli.E, come ancora oggi i pastori andini masticano foglie di coca per contrastare i morsi della fame durante i lunghi periodi di pascolo delle greggi, così le popolazioni di tanti secoli fa certamente avranno bramato l’arrivo provvidenziale (sorta di mitica manna) di un cosiddetto “pane succedaneo spontenascente”.Come a dire che, a Corinaldo, si respira ancora quell’ “antico colore del tempo” , come ebbe a dire uno degli ultimi grandi personaggi pubblici del luogo, Mario Carafòli: giornalista, fotografo, scrittore, spirito arguto e salace della sua Corinaldo, mitizzata a livello di “paese più bello del mondo” (come ognuno ritiene essere il proprio luogo di origine), ma anche inventore di tante storie sulla particolare astuzia dei suoi stessi concittadini che, mescolata a un pizzico di sana follia, hanno fatto conoscere Corinaldo, anche, come il paese dei matti.Matti furbi, irriverenti, astuti, scaltri, abituati a dissodare la vita con la forza delle braccia e dell’ingegno in egual misura.
Da visitare
E, al di là delle facili rionie, Corinaldo può vantare notorietà mondiale in virtù della venerazione alla martire Maria Goretti, il cui culto non conosce appannamenti e anzi è cresciuto e capillarizzato anche in concomitanza con l’attuale centenario della morte (1902 – 2002), Tanto che la tv di stato ha realizzato e già trasmesso una finction sulla giovinetta di Corinaldo e sempre più sono i pellegrini e i semplici visitatori dei luoghi gorettiani che si recano nel paese dell’entroterra senigalliase.Ribattezzata quale Agnese del XX secolo da papa Pio XII, la fama e la vita di Marietta, come l’hanno sempre chiamata i suoi concittadini dell’epoca e di oggi, àncora la secolare, consolidata, riconosciuta avvenenza storica e artistica di Corinaldo a luogo di spiritualità che nella provincia dorica è preceduta solamente da Loreto.Corinaldo, dunque, e oggi più che mai, sulla scorta della sua storia millenaria, è luogo di arte e di fede. Arroccato in posizione strategica tra la Marca di Ancona e lo Stato di Urbino, il borgo di Corinaldo ha il suo simbolo nelle imponenti mura rimaste praticamente intatte dal Quattrocento. Se ne può percorrere l'intera cerchia, lunga 912 metri, con una suggestiva passeggiata guidata. Le porte, i baluardi, le torri di difesa, i merli ghibellini a coda di rondine, i camminamenti di ronda contrassegnano il paesaggio di questo raro esempio di città fortificata dove ad apparire incongrui sono i segni della modernità, come le automobili o i fili della luce. Perfetto set di un film di cappa e spada, Corinaldo ha il suo centro nella Piaggia, una scalinata di cento gradini verso cui convergono le case in mattoni rossi disposte a spina di pesce.L'ordito urbanistico della città comprende numerosi palazzi gentilizi e notevoli edifici civili e religiosi. Lo sviluppo artistico dei secoli XVII e XVIII è dovuto principalmente alla presenza di grandi personalità come il pittore Claudio Ridolfi, che a Corinaldo visse lungamente e morì, e l'organista Gaetano Antonio Callido, che qui ha lasciato due eccezionali organi a canne, uno dei quali donato alla figlia, monaca di clausura negli ambienti oggi occupati dalla Pinacoteca civica. Tra gli edifici pubblici, sono da vedere il Palazzo Comunale, bell'esempio di architettura neoclassica con il lungo loggiato che dà su via del Corso, l'ex Convento degli Agostiniani, costruito nella seconda metà del Settecento e ora utilizzato come albergo, il Teatro Comunale (1861-69) intitolato a Carlo Goldoni e la Casa del Trecento, che ospita la Pro Loco ed è la più vecchia del borgo. Le chiese rivelano tutta la spiritualità del luogo, rinforzata dalla lunga appartenenza allo Stato Pontificio. La Collegiata di S. Francesco ha origini antiche (1265) ma si presenta a noi nelle forme della ricostruzione secentesca e, ancor di più, settecentesca, quando fu edificato il convento (1749) e venne innalzata la nuova chiesa (1752-59). Il Santuario di S. Maria Goretti, con l'ex monastero ora adibito a Sala del costume e Biblioteca comunale, ingloba con fattezze settecentesche l'antica chiesa medievale di S. Nicolò. L'interno è un bell'esempio di tarda architettura barocca e custodisce numerose opere d'arte, tra cui una grande cantoria lignea che racchiude uno splendido organo di Callido del 1767. La Chiesa del Suffragio, terminata nel 1640, fu in seguito demolita e ricostruita per essere riaperta al culto nel 1779. Conserva il dipinto di Claudio Ridolfi che era stato collocato
sull'altare maggiore il giorno della prima inaugurazione, il 6 gennaio 1641. Un altro organo di Callido si trova nella cantoria lignea sopra la porta d'ingresso della Chiesa dell'Addolorata, consacrata nel 1755.In piazza S. Pietro il campanile è quanto resta dell'omonima chiesa, demolita nel 1870 perché pericolante. Al suo posto troneggia un grande cedro dell'Himalaya, piantato, pare, da un anticlericale affinché non vi si ricostruisse un altro edificio religioso.E ora torniamo alle mura. Il primo impatto del visitatore è con la quattrocentesca torre dello Sperone, alta 18 m. e di forma pentagonale, attribuita all'architetto senese Francesco di Giorgio Martini e più volte restaurata. Tra le torri, spiccano anche quella dello Scorticatore (dove le mura raggiungono i 15 metri di altezza), quella del Mangano e quella del Calcinaro, che prendono il nome dalla professione che svolgeva chi vi abitava. Dalla Rotonda, invece, che fa parte dell'aggiunta rinascimentale terminata nel 1490, proseguendo verso il giro di ronda si accede ai Landroni, un corridoio porticato derivato dalla sopraelevazione degli edifici seicenteschi lungo via del Corso. Da lì si ritorna alle mura, che inglobano alcune imponenti porte bastionate.La parte più interessante della cerchia muraria è forse quella di Porta S. Giovanni, in quanto conserva inalterati molti elementi di difesa. L'architettura militare dell'epoca presenta in questo tratto tutto il suo corredo di saettiere, archibugiere, beccatelli, piombatoi e merlature.Girando verso il pozzo del Bargello si raggiunge la terrazza sopra l'arco della porta, da cui si può ammirare - come ha fatto il principe Carlo d'Inghilterra nel 1987 - il centro storico e la campagna sottostante, arrivando con lo sguardo fino al Monte Conero nei giorni limpidi
Curiosità
Il paese dei Matti"E' così, infatti, che Corinaldo viene tuttora "identificata" dagli abitanti dei centri vicini.I corinaldesi passano, secondo una tradizione secolare, per mattacchioni. Comunque per tipi un po’ originali. Un giornalista, e celebre fotografo quale fu Mario Carafòli (1902 – 1986), si è divertito a raccogliere con appassionata puntualità le tante storie curiose suscitate da questo popolo di extravaganti. Restano preziosi i suoi due volumetti dedicati all’argomento: “Storie e storielle di Corinaldo e dintorni” e “I matti di Corinaldo”. Vi si narra non solo della polenta fatta nel pozzo ma anche del cannone di fico, di Scuretto e della società dei ladri, di Gnocco e di Menchetta e di tante altre. Se poi chi legge potrà giungere a Corinaldo scoprirà perché lo stesso Carafòli, in un terzo volumetto, lo abbia battezzato come “Il Paese più bello del Mondo”. Il pozzo della polentaUn'antica diceria racconta che, in tempi ormai lontani, un contadino salisse lungo la scalinata (La Piaggia) con un sacco di farina di granturco sulle spalle. Affaticato, giunto nei pressi del pozzo, appoggiò il sacco sul bordo per riprendere fiato ma questo si scucì e tutta la farina finì nel pozzo, dando la possibilità ai corinaldesi di "servirsi" di polenta per molto tempo a venire. Da picchiatelli a geniali il passo è breve: i corinaldesi, per nulla infastiditi dalla fama di "polentari" hanno preso spunto dalla storiella per l'annuale rievocazione storica detta appunto "La Contesa del pozzo della polenta". Il cannone di ficoFra Corinaldo e la vicina Montenovo, ora Ostra Vetere, esisteva un'antica rivalità e i corinaldesi, decisi ad averla vinta una volta per tutte, costruirono un cannone di fico e lo puntarono verso il paese rivale. Il giorno del primo sparo di cannone tutti si radunarono sulle mura per assistere alla caduta di Montenovo. Sette corinaldesi reggevano il cannone mentre il capitano dava fuoco alla miccia; dopo un tremendo boato, al diradarsi del fumo, i sette volontari erano a terra privi di vita. Il capitano, miracolosamente scampato, si dichiarò più che soddisfatto dell'esito dell'operazione esclamando: "Il botto era così forte che qui ne sono morti sette!, pensate un po' quanti ne avrà uccisi a Montenovo..." Le campane di MontenovoGli abitanti di Montenovo decisero di forgiare delle campane nuove che divennero ben presto l'orgoglio del paese. Erano così fieri delle loro campane che le facevano suonare ad ogni ora del giorno e della notte, contando anche sul fatto che il loro scampanìo avrebbe dato non poco fastidio ai corinaldesi, da sempre loro acerrimi nemici. I quali, stanchi ed invidiosi, escogitarono un "geniale" sistema per porre termine alla "tortura"; piantarono delle canne di bambù e ne fecero una siepe fittissima, convinti di poter arginare una volta per tutte il provocante rintocco. La casa di ScurettoGaetano, detto Scuretto, era un ciabattino a cui piaceva molto "l'arte dionisiaca". Aveva un figlio, emigrato in America per far fortuna, che periodicamnete gli mandava del denaro per poter costruire una casa a Corinaldo. Questi denari andavano però a finire nelle osterie del paese tanto che il figlio, insospettitosi per la lungaggine dei lavori di costruzione, chiese al padre una foto della nuova casa. Scuretto non si perse d'animo e si organizzò così: costruì la facciata, ci mise il numero civico e si fece fotografare affacciato alla finestra. Arrivarono ancora soldi, ma la casa rimase così com'è, senza solai, pareti di fondo e tetto. La potete ammirare a circa metà della via Piaggia.
I vigneti del rinomato Verdicchio sulle colline intorno a Corinaldo danno un vino delicato, di colore paglierino tenue, dal sapore asciutto, armonico, ottimo per piatti a base di pesce. Non è ancora Doc ma promette bene il Rosso di Corinaldo.Il territorio offre anche olio extravergine di oliva, salumi, miele.
Il prodotto del borgo
I passatelli in brodo di cappone sono una specialità della zona che deriva però dalla tradizione culinaria romagnola. I vincisgrassi, una sorta di lasagne al forno con strati di sugo, parmigiano, pasta e besciamella, sono tipici di buona parte delle Marche.
Il piatto del borgo
L'oca arrosto, imbottita di salvia, rosmarino e aglio e contornata di patate tagliate a pezzi grossi, è un'esperienza da fare nei ristoranti di Corinaldo.
Area Archeologica Città Romana di Suasa
Città romana fondata dai Galli Senoni, venne distrutta dai Goti di Alarico nel 409; i resti più importanti sono quelli dell'Anfiteatro. La popolazione superstite si è raccolta sulle cime fortificate dei colli vicini, che hanno in qualche caso conservato la denominazione di Suasa (Castelleone e S. Andrea). La città romana di Suasa sorgeva nella media valle del fiume Cesano, su di un terrazzo di II ordine oggi intensamente coltivato e denominato Pian Volpello, posto sulla destra del fiume. Le fonti letterarie non hanno che generici accenni a Suasa e tacciono sui motivi che portarono alla sua nascita e su quando ciò avvenne. Con ogni probabilità Suasa, come la vicina Ostra, nacque in seguito alla "Lex Flaminia de agro Gallico et piceno varitim dividundo" del 232 a.C. che portò ad una massiccia presenza di coloni romani in questo settore della penisola e alla conseguente necessità di una riorganizzazione nell'assetto del territorio. Vennero così costituiti nuovi centri, non necessariamente urbani, che fungessero da punti di riferimento sociale, politico ed amministrativo. Le colonie già esistenti furono perciò affiancate da nuove deduzioni e, soprattutto, venne creata una fitta rete di praefecturae, molte delle quali destinate a divenire municipia nel corso del I secolo a.C., all'indomani della guerra sociale. E' dunque possibile che anche Suasa ed Ostra siano sorte come praefecturae in appoggio alla colonia marittima di Sena Gallica ed abbiano successivamente raggiunto dignità amministrativa.
Una riprova di tale precoce nascita può essere, per quanto concerne Suasa, la sua ubicazione sulla riva destra del Cesano, a valle della confluenza tra questo e il suo affluente Nevola. Se infatti Suasa fosse nata in un momento successivo al tracciamento della via Flaminia e al suo affermarsi quale asse fondamentale della rete stradale di tutto questo settore, essa sarebbe sorta sulla riva sinistra del fiume, lungo cioè quella naturale direttrice che, risalendo la valle del Cesano prima e del suo affluente Cinisco poi, collega la costa con la strada consolare e che sarà appunto ricalcata dal diverticulum Helvillo-Anconam attestato negli Itinerari Antonini; Suasa, invece, con il suo essere ubicata sulla destra del Cesano, sul primo terrazzo di una certa ampiezza che si apre a valle della confluenza nel collettore principale del torrente Nevola, pare essere in diretta relazione con la direttrice che collegava, tramite appunto le valli di Cesano e Nevola, la costa con la conca di Sassoferrato. La scelta quindi del sito in cui costruire Suasa appare condizionato da una rete itinerario anteriore a quella che si verrà a determinare con l'apertura della via Flaminia.
Sconosciuta come quella di nascita, è anche la data di morte della città. Verosimilmente Suasa, o quanto di essa restava dopo la crisi economica e demografica del tardo impero, venne abbandonata durante la guerra greco-gotica, quando la difficile situazione politica e militare portò in tutta la regione all'abbandono della maggior parte delle antiche città sorte sui bassi terrazzi di fondovalle, e quindi difficilmente difendibili, e alla nascita di nuovi centri arroccati sulle alture circostanti, lungo i crinali spartiacque delle vallate. Nel corso del VI secolo, dunque, gli abitanti di Suasa, così come quelli di altri centri - Ostra, Septempeda, Helvia Recina ecc. - lasciarono la città non più difendibile e si rifugiarono sulle vicine colline e le rovine della città divennero una "cava di prestito". Si trattò, con ogni probabilità, non di un esodo avvenuto in un unico momento, ma piuttosto di un lento processo e appunto ad una fase di parziale abbandono, e quindi di restringimento dell'area urbana, vanno riferite le due tombe costruite con materiale architettonico di reimpiego, rinvenute nel 1987 in fregio alla strada provinciale in una zona intensamente urbanizzata in età romana .
La nascita dell'Abbazia di San Lorenzo in Campo lungo la Helvillo-Anconam e la sua progressiva affermazione come centro egemone di questo territorio, indica chiaramente come anche in età medievale la rete itinerario fosse condizionata dalla via Flaminia e come quindi i collegamenti tra la costa e l'Appennino privilegiassero in questo settore la riva sinistra del Cesano. Contemporaneamente, il definitivo consolidarsi per motivi di carattere militare dei centri sorti lungo il crinale spartiacque destro finì per spostare dal fondovalle alla cresta l'asse stradale principale. Il terrazzo su cui sorgeva Suasa perdette quindi di interesse e di importanza ai fini dell'insediamento, acquisendone invece come area atta ad essere coltivata. Tutto ciò ha fatto sì che la zona giungesse sino a noi priva di quella continuità di insediamento e di quelle sovrapposizioni che rendono difficile la ricerca archeologica e la musealizzazione delle strutture rinvenute.
Area di Sosta
Area attrezzata sosta camper nel Piazzale della Liberazione, antistante il centro sportivo, vicino al centro storico (500 m). Acqua, pozzetto autopulente, illuminazione, servizi igienici, 12 piazzole, raccolta rifiuti, segnalata. GPS N 43° 38' 49.56" - E 13° 02' 56.84". Fuori le mura, nella parte bassa dell’abitato, a margine dell’ampio parcheggio di Piazzale della Liberazione.
Le famiglie nobili erigono nuove ed eleganti dimore, segno di un accresciuto e diffuso benessere.Si sviluppano le arti e i mestieri, si stringono nuovi rapporti economici, politici e culturali.Ma non sono solamente i palazzi gentilizi a contrassegnare l’ordito architettonico della città, e in particolare del centro storico: vedono progressivamente la luce anche monumentali edifici civili e religiosi, ancora oggi visibili e perfettamente conservati, quali fra gli altri la chiesa del Suffragio dalla caratteristica pianta ottagonale, eretta sul vecchio mastio, la chiesa dell’Addolorata, quella di Sant’Anna (patrona di Corinaldo) e il santuario ora intestato alla Goretti.Palazzi e chiese, splendidi esempi di architettura civile e religiosa, costituiscono invitanti e preziosi contenitori di apprezzabili opere d’arte.Il Seicento e il Settecento, in particolare, sono secoli di intenso sviluppo artistico della città, grazie alla presenza e all’opera di ingegni quali fra gli altri il pittore Claudio Ridolfi che a Corinaldo visse lungamente e vi morì, l’organista Gaetano Callido che sempre a Corinaldo ha lasciato due strumenti di eccezionale fattezza, uno dei quali funzionante e il secondo in restauro, dono del Callido alla figlia monaca di clausura proprio a Corinaldo, in quegli stessi ambienti che oggi accolgono la civica pinacoteca.Corinaldo rappresenta una terra vergine tutta da conquistare e il bel centro storico, ninfa intrigante indolentemente adagiata sul principale dei sei colli sui quali si estende il territorio comunale, vive in quei secoli il suo periodo di massimo splendore.Con il trascorrere dei decenni, poi, si irrobustisce l’aspetto di centro economico di prim’ordine, grazie ai numerosi insediamenti produttivi che sviluppano un connettivo vitalissimo nei settori dell’artigianato artistico del mobile, del calzaturiero, della cartotecnica.Notevole e progressivo è anche l’incremento demografico
dovuto essenzialmente alla favorevole evoluzione delle attività produttive, ma anche alla spiccata vocazione all’accoglienza turistica che Corinaldo ha sviluppato soprattutto in quest’ultimo decennio.Le vestigia dell’eroico passato sono oggi rintracciabili: nel perimetro murario di circa un chilometro con le sue porte bastionate a nord e a sud, con lo “sperone” di Francesco di Giorgio Martini, con le torri e torrette che diciannove volte contrappuntano l’ordito difensivo quattrocentesco; nelle chiese e nei santuari (da non trascurare è anche quello dell’Incancellata del secolo XVI) di cui s’è già detto; nel palazzo municipale e nel complesso degli Agostiniani, nel teatro storico e nei numerosi palazzi gentilizi delle famiglie Cesarini, Orlandi, Marangoni, Amati, Ciani, Mazzoleni; nei personaggi ai quali si è fatto prima riferimento; alle storie e manifestazioni che riconsegnano Corinaldo ad un’aurea tipicamente medievale, intrigante, avvolgente, che si respira e rivive ogni anno, da venticinque anni a questa parte, con la tradizionale rievocazione storica in costume denominata “Contesa del pozzo della polenta”.Certo la storiellina, tutta ottocentesca, riguarda la vicenda di un contadino che, risalendo l’erta che conduceva anticamente dal borgo al centro storico, lascia cadere un sacco di farina di mais nel pozzo al quale tenta di bere per combattere l’arsura estiva.Dal pozzo cominciò a uscire, prodigiosamente, tanta polenta che sfamò i corinaldesi assediati.Si fa riferimento allo storico assedio del 1517, ma al di là dell’anacronismo storico relativo alla presenza e uso della farina di mais in quel tempo lontano, appare invece profondamente legato ai “sogni” degli assediati l’idea, o meglio la speranza di vedere spuntare da un pozzo qualsiasi, magari dalla canna di un negromante, un cibo inesauribile che rimpinguasse le derrate alimentari oramai agli sgoccioli.E, come ancora oggi i pastori andini masticano foglie di coca per contrastare i morsi della fame durante i lunghi periodi di pascolo delle greggi, così le popolazioni di tanti secoli fa certamente avranno bramato l’arrivo provvidenziale (sorta di mitica manna) di un cosiddetto “pane succedaneo spontenascente”.Come a dire che, a Corinaldo, si respira ancora quell’ “antico colore del tempo” , come ebbe a dire uno degli ultimi grandi personaggi pubblici del luogo, Mario Carafòli: giornalista, fotografo, scrittore, spirito arguto e salace della sua Corinaldo, mitizzata a livello di “paese più bello del mondo” (come ognuno ritiene essere il proprio luogo di origine), ma anche inventore di tante storie sulla particolare astuzia dei suoi stessi concittadini che, mescolata a un pizzico di sana follia, hanno fatto conoscere Corinaldo, anche, come il paese dei matti.Matti furbi, irriverenti, astuti, scaltri, abituati a dissodare la vita con la forza delle braccia e dell’ingegno in egual misura.
Da visitare
E, al di là delle facili rionie, Corinaldo può vantare notorietà mondiale in virtù della venerazione alla martire Maria Goretti, il cui culto non conosce appannamenti e anzi è cresciuto e capillarizzato anche in concomitanza con l’attuale centenario della morte (1902 – 2002), Tanto che la tv di stato ha realizzato e già trasmesso una finction sulla giovinetta di Corinaldo e sempre più sono i pellegrini e i semplici visitatori dei luoghi gorettiani che si recano nel paese dell’entroterra senigalliase.Ribattezzata quale Agnese del XX secolo da papa Pio XII, la fama e la vita di Marietta, come l’hanno sempre chiamata i suoi concittadini dell’epoca e di oggi, àncora la secolare, consolidata, riconosciuta avvenenza storica e artistica di Corinaldo a luogo di spiritualità che nella provincia dorica è preceduta solamente da Loreto.Corinaldo, dunque, e oggi più che mai, sulla scorta della sua storia millenaria, è luogo di arte e di fede. Arroccato in posizione strategica tra la Marca di Ancona e lo Stato di Urbino, il borgo di Corinaldo ha il suo simbolo nelle imponenti mura rimaste praticamente intatte dal Quattrocento. Se ne può percorrere l'intera cerchia, lunga 912 metri, con una suggestiva passeggiata guidata. Le porte, i baluardi, le torri di difesa, i merli ghibellini a coda di rondine, i camminamenti di ronda contrassegnano il paesaggio di questo raro esempio di città fortificata dove ad apparire incongrui sono i segni della modernità, come le automobili o i fili della luce. Perfetto set di un film di cappa e spada, Corinaldo ha il suo centro nella Piaggia, una scalinata di cento gradini verso cui convergono le case in mattoni rossi disposte a spina di pesce.L'ordito urbanistico della città comprende numerosi palazzi gentilizi e notevoli edifici civili e religiosi. Lo sviluppo artistico dei secoli XVII e XVIII è dovuto principalmente alla presenza di grandi personalità come il pittore Claudio Ridolfi, che a Corinaldo visse lungamente e morì, e l'organista Gaetano Antonio Callido, che qui ha lasciato due eccezionali organi a canne, uno dei quali donato alla figlia, monaca di clausura negli ambienti oggi occupati dalla Pinacoteca civica. Tra gli edifici pubblici, sono da vedere il Palazzo Comunale, bell'esempio di architettura neoclassica con il lungo loggiato che dà su via del Corso, l'ex Convento degli Agostiniani, costruito nella seconda metà del Settecento e ora utilizzato come albergo, il Teatro Comunale (1861-69) intitolato a Carlo Goldoni e la Casa del Trecento, che ospita la Pro Loco ed è la più vecchia del borgo. Le chiese rivelano tutta la spiritualità del luogo, rinforzata dalla lunga appartenenza allo Stato Pontificio. La Collegiata di S. Francesco ha origini antiche (1265) ma si presenta a noi nelle forme della ricostruzione secentesca e, ancor di più, settecentesca, quando fu edificato il convento (1749) e venne innalzata la nuova chiesa (1752-59). Il Santuario di S. Maria Goretti, con l'ex monastero ora adibito a Sala del costume e Biblioteca comunale, ingloba con fattezze settecentesche l'antica chiesa medievale di S. Nicolò. L'interno è un bell'esempio di tarda architettura barocca e custodisce numerose opere d'arte, tra cui una grande cantoria lignea che racchiude uno splendido organo di Callido del 1767. La Chiesa del Suffragio, terminata nel 1640, fu in seguito demolita e ricostruita per essere riaperta al culto nel 1779. Conserva il dipinto di Claudio Ridolfi che era stato collocato
sull'altare maggiore il giorno della prima inaugurazione, il 6 gennaio 1641. Un altro organo di Callido si trova nella cantoria lignea sopra la porta d'ingresso della Chiesa dell'Addolorata, consacrata nel 1755.In piazza S. Pietro il campanile è quanto resta dell'omonima chiesa, demolita nel 1870 perché pericolante. Al suo posto troneggia un grande cedro dell'Himalaya, piantato, pare, da un anticlericale affinché non vi si ricostruisse un altro edificio religioso.E ora torniamo alle mura. Il primo impatto del visitatore è con la quattrocentesca torre dello Sperone, alta 18 m. e di forma pentagonale, attribuita all'architetto senese Francesco di Giorgio Martini e più volte restaurata. Tra le torri, spiccano anche quella dello Scorticatore (dove le mura raggiungono i 15 metri di altezza), quella del Mangano e quella del Calcinaro, che prendono il nome dalla professione che svolgeva chi vi abitava. Dalla Rotonda, invece, che fa parte dell'aggiunta rinascimentale terminata nel 1490, proseguendo verso il giro di ronda si accede ai Landroni, un corridoio porticato derivato dalla sopraelevazione degli edifici seicenteschi lungo via del Corso. Da lì si ritorna alle mura, che inglobano alcune imponenti porte bastionate.La parte più interessante della cerchia muraria è forse quella di Porta S. Giovanni, in quanto conserva inalterati molti elementi di difesa. L'architettura militare dell'epoca presenta in questo tratto tutto il suo corredo di saettiere, archibugiere, beccatelli, piombatoi e merlature.Girando verso il pozzo del Bargello si raggiunge la terrazza sopra l'arco della porta, da cui si può ammirare - come ha fatto il principe Carlo d'Inghilterra nel 1987 - il centro storico e la campagna sottostante, arrivando con lo sguardo fino al Monte Conero nei giorni limpidi
Curiosità
Il paese dei Matti"E' così, infatti, che Corinaldo viene tuttora "identificata" dagli abitanti dei centri vicini.I corinaldesi passano, secondo una tradizione secolare, per mattacchioni. Comunque per tipi un po’ originali. Un giornalista, e celebre fotografo quale fu Mario Carafòli (1902 – 1986), si è divertito a raccogliere con appassionata puntualità le tante storie curiose suscitate da questo popolo di extravaganti. Restano preziosi i suoi due volumetti dedicati all’argomento: “Storie e storielle di Corinaldo e dintorni” e “I matti di Corinaldo”. Vi si narra non solo della polenta fatta nel pozzo ma anche del cannone di fico, di Scuretto e della società dei ladri, di Gnocco e di Menchetta e di tante altre. Se poi chi legge potrà giungere a Corinaldo scoprirà perché lo stesso Carafòli, in un terzo volumetto, lo abbia battezzato come “Il Paese più bello del Mondo”. Il pozzo della polentaUn'antica diceria racconta che, in tempi ormai lontani, un contadino salisse lungo la scalinata (La Piaggia) con un sacco di farina di granturco sulle spalle. Affaticato, giunto nei pressi del pozzo, appoggiò il sacco sul bordo per riprendere fiato ma questo si scucì e tutta la farina finì nel pozzo, dando la possibilità ai corinaldesi di "servirsi" di polenta per molto tempo a venire. Da picchiatelli a geniali il passo è breve: i corinaldesi, per nulla infastiditi dalla fama di "polentari" hanno preso spunto dalla storiella per l'annuale rievocazione storica detta appunto "La Contesa del pozzo della polenta". Il cannone di ficoFra Corinaldo e la vicina Montenovo, ora Ostra Vetere, esisteva un'antica rivalità e i corinaldesi, decisi ad averla vinta una volta per tutte, costruirono un cannone di fico e lo puntarono verso il paese rivale. Il giorno del primo sparo di cannone tutti si radunarono sulle mura per assistere alla caduta di Montenovo. Sette corinaldesi reggevano il cannone mentre il capitano dava fuoco alla miccia; dopo un tremendo boato, al diradarsi del fumo, i sette volontari erano a terra privi di vita. Il capitano, miracolosamente scampato, si dichiarò più che soddisfatto dell'esito dell'operazione esclamando: "Il botto era così forte che qui ne sono morti sette!, pensate un po' quanti ne avrà uccisi a Montenovo..." Le campane di MontenovoGli abitanti di Montenovo decisero di forgiare delle campane nuove che divennero ben presto l'orgoglio del paese. Erano così fieri delle loro campane che le facevano suonare ad ogni ora del giorno e della notte, contando anche sul fatto che il loro scampanìo avrebbe dato non poco fastidio ai corinaldesi, da sempre loro acerrimi nemici. I quali, stanchi ed invidiosi, escogitarono un "geniale" sistema per porre termine alla "tortura"; piantarono delle canne di bambù e ne fecero una siepe fittissima, convinti di poter arginare una volta per tutte il provocante rintocco. La casa di ScurettoGaetano, detto Scuretto, era un ciabattino a cui piaceva molto "l'arte dionisiaca". Aveva un figlio, emigrato in America per far fortuna, che periodicamnete gli mandava del denaro per poter costruire una casa a Corinaldo. Questi denari andavano però a finire nelle osterie del paese tanto che il figlio, insospettitosi per la lungaggine dei lavori di costruzione, chiese al padre una foto della nuova casa. Scuretto non si perse d'animo e si organizzò così: costruì la facciata, ci mise il numero civico e si fece fotografare affacciato alla finestra. Arrivarono ancora soldi, ma la casa rimase così com'è, senza solai, pareti di fondo e tetto. La potete ammirare a circa metà della via Piaggia.
I vigneti del rinomato Verdicchio sulle colline intorno a Corinaldo danno un vino delicato, di colore paglierino tenue, dal sapore asciutto, armonico, ottimo per piatti a base di pesce. Non è ancora Doc ma promette bene il Rosso di Corinaldo.Il territorio offre anche olio extravergine di oliva, salumi, miele.
Il prodotto del borgo
I passatelli in brodo di cappone sono una specialità della zona che deriva però dalla tradizione culinaria romagnola. I vincisgrassi, una sorta di lasagne al forno con strati di sugo, parmigiano, pasta e besciamella, sono tipici di buona parte delle Marche.
Il piatto del borgo
L'oca arrosto, imbottita di salvia, rosmarino e aglio e contornata di patate tagliate a pezzi grossi, è un'esperienza da fare nei ristoranti di Corinaldo.
Area Archeologica Città Romana di Suasa
Città romana fondata dai Galli Senoni, venne distrutta dai Goti di Alarico nel 409; i resti più importanti sono quelli dell'Anfiteatro. La popolazione superstite si è raccolta sulle cime fortificate dei colli vicini, che hanno in qualche caso conservato la denominazione di Suasa (Castelleone e S. Andrea). La città romana di Suasa sorgeva nella media valle del fiume Cesano, su di un terrazzo di II ordine oggi intensamente coltivato e denominato Pian Volpello, posto sulla destra del fiume. Le fonti letterarie non hanno che generici accenni a Suasa e tacciono sui motivi che portarono alla sua nascita e su quando ciò avvenne. Con ogni probabilità Suasa, come la vicina Ostra, nacque in seguito alla "Lex Flaminia de agro Gallico et piceno varitim dividundo" del 232 a.C. che portò ad una massiccia presenza di coloni romani in questo settore della penisola e alla conseguente necessità di una riorganizzazione nell'assetto del territorio. Vennero così costituiti nuovi centri, non necessariamente urbani, che fungessero da punti di riferimento sociale, politico ed amministrativo. Le colonie già esistenti furono perciò affiancate da nuove deduzioni e, soprattutto, venne creata una fitta rete di praefecturae, molte delle quali destinate a divenire municipia nel corso del I secolo a.C., all'indomani della guerra sociale. E' dunque possibile che anche Suasa ed Ostra siano sorte come praefecturae in appoggio alla colonia marittima di Sena Gallica ed abbiano successivamente raggiunto dignità amministrativa.
Una riprova di tale precoce nascita può essere, per quanto concerne Suasa, la sua ubicazione sulla riva destra del Cesano, a valle della confluenza tra questo e il suo affluente Nevola. Se infatti Suasa fosse nata in un momento successivo al tracciamento della via Flaminia e al suo affermarsi quale asse fondamentale della rete stradale di tutto questo settore, essa sarebbe sorta sulla riva sinistra del fiume, lungo cioè quella naturale direttrice che, risalendo la valle del Cesano prima e del suo affluente Cinisco poi, collega la costa con la strada consolare e che sarà appunto ricalcata dal diverticulum Helvillo-Anconam attestato negli Itinerari Antonini; Suasa, invece, con il suo essere ubicata sulla destra del Cesano, sul primo terrazzo di una certa ampiezza che si apre a valle della confluenza nel collettore principale del torrente Nevola, pare essere in diretta relazione con la direttrice che collegava, tramite appunto le valli di Cesano e Nevola, la costa con la conca di Sassoferrato. La scelta quindi del sito in cui costruire Suasa appare condizionato da una rete itinerario anteriore a quella che si verrà a determinare con l'apertura della via Flaminia.
Sconosciuta come quella di nascita, è anche la data di morte della città. Verosimilmente Suasa, o quanto di essa restava dopo la crisi economica e demografica del tardo impero, venne abbandonata durante la guerra greco-gotica, quando la difficile situazione politica e militare portò in tutta la regione all'abbandono della maggior parte delle antiche città sorte sui bassi terrazzi di fondovalle, e quindi difficilmente difendibili, e alla nascita di nuovi centri arroccati sulle alture circostanti, lungo i crinali spartiacque delle vallate. Nel corso del VI secolo, dunque, gli abitanti di Suasa, così come quelli di altri centri - Ostra, Septempeda, Helvia Recina ecc. - lasciarono la città non più difendibile e si rifugiarono sulle vicine colline e le rovine della città divennero una "cava di prestito". Si trattò, con ogni probabilità, non di un esodo avvenuto in un unico momento, ma piuttosto di un lento processo e appunto ad una fase di parziale abbandono, e quindi di restringimento dell'area urbana, vanno riferite le due tombe costruite con materiale architettonico di reimpiego, rinvenute nel 1987 in fregio alla strada provinciale in una zona intensamente urbanizzata in età romana .
La nascita dell'Abbazia di San Lorenzo in Campo lungo la Helvillo-Anconam e la sua progressiva affermazione come centro egemone di questo territorio, indica chiaramente come anche in età medievale la rete itinerario fosse condizionata dalla via Flaminia e come quindi i collegamenti tra la costa e l'Appennino privilegiassero in questo settore la riva sinistra del Cesano. Contemporaneamente, il definitivo consolidarsi per motivi di carattere militare dei centri sorti lungo il crinale spartiacque destro finì per spostare dal fondovalle alla cresta l'asse stradale principale. Il terrazzo su cui sorgeva Suasa perdette quindi di interesse e di importanza ai fini dell'insediamento, acquisendone invece come area atta ad essere coltivata. Tutto ciò ha fatto sì che la zona giungesse sino a noi priva di quella continuità di insediamento e di quelle sovrapposizioni che rendono difficile la ricerca archeologica e la musealizzazione delle strutture rinvenute.
Area di Sosta
Area attrezzata sosta camper nel Piazzale della Liberazione, antistante il centro sportivo, vicino al centro storico (500 m). Acqua, pozzetto autopulente, illuminazione, servizi igienici, 12 piazzole, raccolta rifiuti, segnalata. GPS N 43° 38' 49.56" - E 13° 02' 56.84". Fuori le mura, nella parte bassa dell’abitato, a margine dell’ampio parcheggio di Piazzale della Liberazione.
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